Nulla è posato sul piatto della bilancia, eppure l’antico strumento è in equilibrio perfetto. Questo equilibrio è dato dal fatto che esso pesa l’insostenibile leggerezza dell’essere.
La realtà immisurabile, indicibile, irrapresentabile: un gioco paradossale si instaura tra la realtà massiccia, ponderale, della bilancia stessa e il nulla, il corpo assente, collocato sul suo piatto; è questa presenza della assenza, questa imponderabilità del reale, nella sua accezione filosofica, che lo strumento misuratore del peso fisico vuole indicarci.
La bilancia, nella sua forma a piatti contrapposti, simboleggia lo strumento regolatore della giustizia, secondo l’antica necessità che ha fissato le immutabili norme del giudizio, ma è proprio nella impossibilità di fissare per tutti i criteri del bene e del male, del lecito e dell’illecito, del giusto e dell’ingiusto, del morale e dell’immorale, che la bilancia rimane immobile, eternamente sospesa nell’equilibrio della incertezza, nella impossibilità di misurare la verità: eppure il giudizio sarà comunque dato e la bilancia sarà fatta pendere in un modo o nell’altro.
Per ciò l’installazione, una lignea complicata architettura, ne sottolinea l’aspetto minaccioso, di macchina da tortura: da strumento neutrale di misurazione del bene e del male questo utensile della giustizia sembra aver già stabilito il destino del condannato e riassume nello stesso atto del giudizio anche la condanna ed il peso della pena.

