Molte avanguardie si sono poste il tema della continuità se non della interscambiabilità tra artificio e realtà: chi ha prelevato oggetti dalla realtà quotidiana e li ha collocati dentro il museo, rendendoli, con questo solo atto di trasferimento da un contesto all’altro, opere d’arte, chi ha operato direttamente sulla natura, deserti, praterie, canyons, innalzando giganteschi velari o tracciando sul terreno chilometrici solchi, considerando il suolo terrestre come un supporto tecnico, non diversamente da una tela per un pittore, chi ha collocato all’aria aperta cornici vuote o piedestalli senza monumenti, perché venissero riempiti o sovrastati dalla stessa diretta realtà della natura: un museo naturale nel quale l’artista non ha fatto che ‘indicare”, “dire” alcuni contesti visivi, senza farne rappresentazione.

L’enorme molletta non fissa bianchi teli di bucato al vento, ma stringe il vuoto, in un impossibile tentativo di tenere ferma, di “tenere per ferma” la realtà: un grado zero di rappresentazione, una sorta di irriverente monumento alla inutilità rappresentativa dell’arte.